Punta dell'Uccettù e il lago della Duchessa

Sulle montagne della Duchessa a cercare l'autunno.
La magia dell’autunno l'abbiamo iniziata a trovare lungo il vallone del Cieco, il sole è spuntanto dai contrafforti del Murolungo e le chiome dei faggi hanno preso ad accendersi, a colorarsi nello sfondo del cielo turchino; verdi, gialli e rossi bruniti erano ovunque, anche l’aria intorno lentamente si andava permeando di colore, una atmosfera rarefatta sembrava colorare anche l’aria, respiravamo colore…


I colori dell’autunno, ma dove andarli a cercare? La risposta è venuta naturale, dove ci avrebbe portato il cuore e soprattutto quello di Marina conduceva al lago della Duchessa, io ci ho aggiunto solo una ulteriore breve salita fino a Punta dell’Uccettù per riaffacciarsi sul bosco del Cerasolo; ne è scaturita una giornata indimenticabile, la faggeta del Cerasolo aveva fatto già il suo percorso e tendeva al brunito, con poche variazioni, dovevamo arrivare prima, ma l’ultimo tratto del vallone del Cieco ha regalato tutto quello che di bello può esserci nell’autunno, ma non anticipiamo gli eventi, andiamo per gradi e saliamo insieme da Cartore per la stretta val di Fua. Otto del mattino, il cielo era terso, appena lattiginoso, senza una nuvola, il sole ancora dietro il Rozza manco accennava a spuntare, la mattinata fresca pungeva e metteva voglia di camminare, l’imbocco della val di Fua a un quarto d’ora prendendo la sterrata sulla sinistra dà il tempo di scaldare le gambe prima di immergersi nel buio della forra. Il sentiero all’interno della val di Fua lo abbiamo percorso tutti chissà quante volte, è un “serpente” che si allunga con una miriade di svolte a salire la stretta forra boscosa, ricca di vegetazione nonostante la poca luce che penetra; pochi i tratti di scoperto che lasciano intravedere le pareti strapiombanti e comunque lo stesso ricoperte di una fitta faggeta. Un chilometro all’incirca, con tutti gli avvitamenti della traccia forse anche due, prima di iniziare a salire una “scalpellata” rocciosa che si avvita sul versante sinistro e che in alcuni tratti risulta anche leggermente esposta; repentinamente fa fare un bel salto di quota e dopo una piccola cengia protetta da una catena (+1,10 ore), scorre sotto una parete strapiombante sulla forra sottostante nel punto più stretto di tutto il percorso, introduce al più ampio e agile vallone del Cieco, dove i versanti si appoggiano un po', dove la pendenza diventa più agile anche se continua, dove la valle si va allargando lentamente e si prende a salire senza più svolte. E’ su questo tratto che inizia la magia dell’autunno che eravamo venuti a cercare, ci trovavamo sotto la calotta della faggeta nella lunga rettilinea salita, lentamente le chiome dei faggi iniziano a colorarsi di luce e ad accendersi nello sfondo poco percettibile del cielo turchino; il sole era salito e iniziava a filtrare dentro la valle, accendeva di gialli e rossi bruniti la volta della faggeta, e anche l’aria intorno a noi lentamente si permeava di colore, una atmosfera rarefatta sembrava dare colore all’aria, respiravamo colore in una quiete assordante che riempiva il cuore oltre che i polmoni. A momenti le linee del Murolungo rifacevano piombare al buio la valle ed era enorme il contrasto di tonalità e di emozioni, soprattutto quando davanti e sopra si illuminava ancora un altro pezzo di faggeta. Quando i boschi ti parlano in questa maniera avviene un miracolo, il miracolo dell’autunno, quello che tutti gli autunni andiamo a cercare, ogni volta in un posto diverso sperando nell’esagerazione e nel colpo di fortuna. Quando usciamo dal vallone, prima di arrivare in prossimità della zona delle Caparnie e gli spazi si allargano siamo all’interno di un parco, non so se le foto renderanno, quello che arrivava agli occhi era piacere puro e intenso, una gioia per tutti i sensi; i prati erano ancora verdi, contrastavano col cielo azzurro sopra le linee del Morrone, la linea del sentiero, sottile e diritta, si allungava sfiorando isolati faggi immensi, dai colori strepitosi, tra prati e cielo a delineare una zona di mezzo il guazzabuglio di colori della faggeta , c’erano nello spazio davanti a noi tutte le tonalità dei verdi, dei galli, dei rossi, l’azzurro profondo del cielo ed il paesaggio era di un’armonia che non si riusciva a descrivere, erano i sensi a percepirla ed è impossibile da rendere a parole. Forse solo gli impressionisti francesi sarebbero riusciti a dargli il senso poetico che un comune mortale percepisce solamente. Eravamo immersi e avvolti dal bello. Una breve sosta al bivacco Panei (+45 min.), la prima delle Caparnie, ancora sorprendentemente in buono stato, all’interno, nella parete accanto alla porta c’è disegnato uno stiloso essenziale grande albero, a carboncino, matita probabilmente, lo so che non si dovrebbe ma chi lo ha fatto ha del talento, ispira la stessa sorpresa e serenità degli alberi che fuori ci avevano emozionato. Lungo la sterrata che sfiora una ad una tutte le capanne ci inoltriamo nell’ampia valle tra le tonde “dune” erbose che la compongono, c’era tanta quiete e mai come in questa giornata il lento camminare tra i profili amici delle montagne della Duchessa ci è sembrato un bene così prezioso. Gli ultimi leggeri dislivelli annunciavano la conca del lago che si scopre lentamente, uno smeraldo azzurro in un contesto paesaggistico pazzesco, conosciutissimo, frequentatissimo ma sempre in grado di emozionare; ancora poesia in questa giornata già così intensa (+35 min.). Lenti, per non perdere nessuna sfumatura di colore, giriamo intorno al lago sul lato sinistro e iniziamo a salire uno dei pochi tratti di sentiero in terra del Velino che non abbiamo ancora percorso; su un fondo breccioso e instabile saliamo fino al Vado dell’Asina, ogni tanto una sosta per inquadrare il lago in un contesto e prospettiva diversi. Dal Vado dell’Asina rimangono da salire solo altri 150m., praterie per lo più, dolci dislivelli che aprono orizzonti più ampi ad ogni passo; arriviamo ai 2006 m. di Punta dell’Uccettù, (+55 min.) tanto sottovalutata montagna quanto centrale ad un mare di altre montagne, quelle del Velino che sono quasi tutte intorno, magnifica da qui l’accoppiata Murolungo-Morrone, spunta lontano anche il Gran Sasso, sopra la linea della prospiciente Torricella. Si apre come un pulpito sull’immensa faggeta del Cerasolo, ormai quasi spenta ed omogenea purtroppo, brunita in attesa degli ultimi sbalzi di temperatura per essere spogliata, solo la parte più rada intorno al rifugio della forestale, la faggeta che si attesta sul fondo del vallone tra la Torricella, il Morretano e L’Uccettù stesso si infiamma ancora di colori, tenui ma quello che basta per un altro miracolo autunnale. Merita una sosta questa montagna, meritiamo di perderci nelle linee che ci scorrono davanti, soprattutto in quelle del Morrone che disegnano un anello perfetto da consegnare ormai alla prossima primavera, magari concependo una traversata da Cartore alla galleria di San Rocco, sognare è gratis e fa bene. Dura poco la quiete, un folto gruppo ci raggiunge ed è subito baldoria, chi alzala voce, chi si fregia di aver salito questo e quello, chi declamava l’elenco di tutte le vette intorno, tutto per farlo sapere a tutti, era ora di alzare le tende e senza indugi. Non c’era alternativa, per la stessa via dell’andata, con più calma però, andavamo in contro al bello ed ogni istante non andava perso; la valle del lago nel frattempo si era popolata, ci saranno state un centinaio di persone, chi scendeva dal Costone, chi saliva al Murolungo o a Macchia Triste, chi si era accampato poco lontano dal lago, era un brulicare di persone, per quanto vasto il territorio intorno al lago tutta quella gente mi sembrava troppa; non che dovesse rimanere tutto per noi ma non era più magico come la mattina, anche il sole alto contribuiva ad appiattire le forme, insomma il più bello lo avevamo preso e potevano rientrare felici. Scivoliamo lungo la riva del lago, ci dedichiamo qualche selfie, cosa che non abbiamo mai fatto nelle volte precedenti nonostante questo posto alberghi nei nostri cuori e prendiamo per la via del ritorno, sempre senza fretta. Le Caparnie arrivano presto e anche l’imbocco del vallone del cieco; in quello che nella mattinata avevo descritto come un giardino o un parco c’erano vari bivacchi di persone, qualcuno stava prendendo il sole, altri chiacchieravano in silenzio mangiandosi qualcosa, tutti secondo me erano in seduta terapeutica e per giunta gratuita; gli isolati enormi faggi, la faggeta intorno dalle tante sfumature, i colori che riempivano l’aria, tutto parlava all’anima e alla fine anche al corpo, bastava saper ascoltare e sono certo, nessun terapeuta sarebbe capace di parlarci altrettanto bene. Un ultimo sguardo all’immenso bello che c’era intorno e ci immergiamo nella faggeta, la discesa è veloce, nel vallone del Cieco i sentieri filano diritti e ci si deve frenare in certi tratti, passiamo più guardinghi il tratto delle roccette che divide questo vallone da quella di Fua e in meno di due ore e mezzo siamo all’incrocio della carrareccia che in altri dieci minuti ci porterà a Cartore. Il Velino non tradisce mai, l’autunno sul Velino ha sempre dell’incredibile, la giornata è tra quelle che si possono annoverare come indimenticabili. Prima di venir via siamo già a pensare ad una salita al Morrone, la prima parte mai percorsa e quindi nuova, con un anello che parte da Corvaro e si chiude per la valle dell’Asina e quella di Mandria Stefanella dopo aver toccato in ordine il Morrone e il monte Ginepro. Il Velino è una fabbrica di possibilità, vediamo se riusciamo a farlo prima della neve o se dobbiamo rimandarlo al prossimo anno.